“Abbi cura dei tuoi ricordi, perché non puoi riviverli di nuovo.”
– Bob Dylan
C’erano una volta le budella di mia nonna. Che non erano sue personali, è ovvio. Le budella erano di maiale, ma lei le cuoceva in modo da tutti ritenuto mirabile. Ecco, questo è il ricordo della mia infanzia, condito da un profumo particolarissimo di questo cibo che cuoce a lungo sul fuoco, l’aroma di spezie in bustina, il rosario interminabile di un lavaggio estenuante, che pareva non finire mai. Ma, dopo tutto, che altro sono i gusti e i sapori e gli aromi che ci portiamo dentro, se non le vere esperienze che hanno forgiato ciò che siamo davvero?
Sesto Fiorentino, provincia di Firenze, è il paese dei miei nonni paterni, Cesarino e Ida. Paese di mio padre, Mario, e in parte anche di mia madre, Antonietta, sebbene lei fosse un po’ un miscuglio di Centro e Sud Italia. Sesto è anche il paese delle budella di maiale. Che io sappia, sono rarissime le zone in cui si svuotano gli intestini suini per mangiarseli. E non solo in Toscana, ma in tutt’Italia. Da questo punto di vista, Sesto Fiorentino è un po’ un’isola a sé: in un luogo dove vive ed esplode tutta la classica cucina toscana di matrice fiorentina, a cui si aggiungono le influenze del vicinissimo Mugello, le budella occupano un posto magico o stregato, a seconda di chi guarda nella pentola.
UN DETTO MAI SENTITO
Dicono sia famoso, sui sestesi, un detto riportato più volte, che io comunque non ho mai sentito, durante la mia infanzia: Io un vo’ di’ che vu sia della gentaccia, però il companatico vu lo misurate a braccia. La traduzione suona all’incirca così: può anche darsi che voi sestesi non siate della gente cattiva, però misurate il companatico con le braccia.
L’origine del detto è di sicuro fiorentina, nel senso di Firenze centro, poiché il capoluogo ha sempre avuto la puzza sotto il naso nei confronti della provincia, vicina o lontana che fosse. E il companatico che si misura a braccia sono le budella, of course. Insomma, magari non siete neppure cattivi cattivi come si pensa, però mangiate le budella! Il che è tutto dire!
Se non è archeologia gastronomica questa…
Come ti scrivevo, io questo detto non l’ho mai sentito. D’altra parte, non ho mai neppure sentito il termine panzanella, che ho appreso molto più tardi, al Nord: mio nonno l’ha sempre chiamata “pan molle” e così l’ho sempre sentita chiamare da tutti i sestesi che ho conosciuto. Che il termine “panzanella” venga anch’esso da Firenze? Boh.
ANEDDOTI AL MUSEO
Però un aneddoto sulle budella ce l’ho. Me lo raccontava mia zia Ede, morta al filo di lana con i 100 anni. Un giorno, quand’era giovane, passeggiando per Firenze con il marito, mio zio Otello, decise di fare un salto alla Specola. Il Museo La Specola, per chi non lo sapesse, è un antico museo di scienza naturale. In questo museo c’è una sezione dedicata all’anatomia umana, dove si vedono antiche ricostruzioni in vario materiale di spaccati e sezioni del nostro corpo. Mentre transitava davanti a una vetrina che, in bella mostra, metteva in evidenza la massa intestinale di un manichino antropomorfo, mia zia Ede sente un uomo vicino che mormora agli amici: «Madonna, quante budella! Se le vedesse un sestese….».
Sestesi mangiabudella, appunto. Per tutto il mondo e per l’eternità.
Certo che offrono davvero una nuova concezione di food porn
Così, in questi giorni freddi, ho voluto ricreare quest’antica ricetta casalinga che, una volta fotografata, ha davvero reinterpretato il significato di food porn, non c’è che dire… D’accordo, lo ammetto: so che posso dirti che sono buonissime, ma non mi crederai mai. Mai e poi mai. Perché non c’è nulla, ma proprio nulla, che mascheri il loro aspetto non proprio invitante. Eppure, fidati, sono fantastiche. E non soltanto perché mi riportano a sapori infantili, ma perché lo sono oggettivamente, come mi hanno confermato tutti quelli che hanno avuto il coraggio di andar oltre l’apparenza.
A margine della ricetta, semplicissima e tratta da Il grande libro della cucina toscana di Paolo Petroni (ma identica a quella che faceva mia nonna), bisogna specificare quanto segue.
PASSAGGI PERIGLIOSI
Punto primo: le budella di maiale sono rare, rarissime anche a Sesto. I pochissimi macellai cittadini che le vendono le fanno pagare oro (non scherzo) e non sempre le hanno. Spesso le preparano loro (ci vogliono ore di cottura e non tutti possiedono tanto tempo), facendole pagare ancora più care. Io non saprei dirti dove trovarle, fuori dal paese. Sembra che siano sconosciute appena fuori dai confini. Quindi, può esser benissimo che questa preparazione resti una sorta di momento archeologico e basta. Ma almeno salvaguardo il mio passato.
Punto secondo: Petroni parla di cannella e chiodi di garofano. Le budella sestesi sono infatti speziate e il motivo si può immaginare: un tempo, per quanto bene si lavassero, avevano sempre qualche frazio.
ABBECEDARIO FIORENTINO
Frazio è un sostantivo maschile fiorentino che indica un odore non proprio gradevole, provocato da qualcosa che imputridisce, si deteriora o ricorda l’effluvio delle fosse biologiche. Ecco, le budella poco lavate mandavano un certo frazio, in cottura, che era meglio coprire con spezie dall’aroma pesante. A questo proposito, le spezie che a Sesto andavano per la maggiore erano vendute già confezionate. Era il cocktail di spezie (detto anche “Spezie miste” quando era venduto in bustine) di La Drogheria, che guarda caso è azienda di Firenze. La composizione del mix è piuttosto misteriosa, ma si percepiscono nettissimi i chiodi di garofano e la cannella. Forse c’è noce moscata, magari sotto forma di macis. Magari la composizione segretissima era scritta sulla confezione, ma io non la possiedo più, purtroppo, dato che le conservo in un barattolino di vetro.
Ultimissima cosa: le budella, oggi, sono vendute lavate e sbiancate, come la trippa. Io le ho rilavate ancora bene, dentro e fuori. Fallo anche tu. Sai mai…
Budella alla sestese
Un piatto più unico che raro della più povera tradizione italiana, anzi toscana. Sono le budelle di maiale come vengono cucinate a Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze. Una preparazione che mi ricorda l'infanzia, quando le faceva mia nonna....
Ingredienti
- 3 kg budella di maiale già pulite
- 1 cipolla
- 1 carota
- 1 spicchio d'aglio
- 4 pomodorini da brodo (tipo piccoli San Marzano)
- 1 manciatina prezzemolo
- 1 rametto rosmarino
- 2 chiodi di garofano
- 10 grani pepe nero
- 1/2 cavolo verza (facoltativo)
- sale grosso quanto basta
Istruzioni
Le budella, per esser pronte per la cottura, devono essere tagliate lunghe circa un braccio (50 cm circa) e lavate molto bene. Meglio farsi garantire dal macellaio che tutta la pulizia sia stata fatta. E comunque fanne un'altra tu per sicurezza. Devi lavarle dentro e fuori, una alla volta, meglio se sotto un filo d'acqua corrente.
Accorcia le budella, facendole diventare lunghe circa 20 cm e mettile in una pentola capace.
Coprile con abbondante acqua fredda.
Unisci i pomodorini tagliati a metà, la cipolla e la carota a grossi pezzi.
Unisci infine anche l'aglio, il rosmarino, il prezzemolo, il pepe e i chiodi di garofano.
Sala e cuoci a fuoco letto per circa 4 ore. Le budella devono essere morbide. Se non lo fossero, prosegui nella cottura finché non lo diventano.
Aggiungi infine il cavolo verza tagliato a listarelle e cuoci un'altra ora.
Servile calde, magari con fette di pane raffermo o abbrustolito.
Note
Questa ricetta è tratta dal libro di Paolo Petroni Il grande libro della cucina toscana.
La ricetta è però identica a quella che ho sempre mangiato in casa dei miei nonni. Oggi ho notato che alcune macellerie la preparano molto più rossa, probabilmente aggiungendo concentrato di pomodoro che, a mio avviso, snatura l'estrema semplicità di questa minestra.
Che ci si creda o no, il piatto è molto delicato e basta un nonnulla per modificarne il sapore.