Cinque infami errori in un sito di cucina che dovresti proprio evitare.
Perché sono errori, errori, infami, terrificanti, vergognosissimi errori. Ma è possibile essere così ingenui? Quale mente malata riesce a considerare normali queste cose? OK, non ce l’ho fatta. Mi sono trattenuto, ma alla fine basta. Basta con i siti di cucina pieni zeppi di foto spaventose, di impostazioni perdenti, di zappate sui piedi che autoaffossano un’attività. Sarà il periodo, ma non vedo altro che cose fatte male, malissimo, con un’ingenuità che rasenta il suicidio.
Così mi sono messo a scrivere questo lungo post, ripetendo ancora una volta che ci sono (almeno) 5 errori fatali che possono distruggere la tua carriera su internet, sia che tu sia un foodblogger, un cuoco a domicilio, un appassionato di ricette e così via. Buona lettura. A proposito: le foto sono state rubate da un sito che, attualmente, non esiste più: “Some one ate this”, che stava su Tumblr. Si vede che chi lo realizzava, a un certo punto, ne ha avuto abbastanza!
Someone ate this significa “qualcuno lo ha mangiato…”. Se qui trovi qualche foto tua, sei rovinato!
Te l’hanno cantata in tutte le solfe: se non sei su internet, non esisti. E allora tu, da quel bravo panettiere, cuoco, personal chef, maestra o maestro di cucina che sei, hai pensato che fosse l’ora di creare un sito tutto tuo, che ti presentasse al mondo. Che magari ampliasse la tua ristretta cerchia di contatti, che male non fa, vero? Anzi, diciamocela tutta. Oggi far volantinaggio o chiedere porta a porta se a qualcuno serve un cuoco a domicilio o un corso di cucina, non è l’azione più furba del mondo. Soprattutto se nel frattempo campi con un altro lavoro.
L’idea del sito, quindi, ti conquista. Ti sei guardato in giro e ti sei fatto qualche idea. Hai visto ciò che ti piace e qualche amico ti ha rivelato che farsi un blog è facile davvero. Molto più semplice di quanto la gente immagini. Oppure no?
Beh, lascia che te lo dica: oppure no. Creare dal nulla il sito per la tua attività non è la cosa più elementare del mondo. Ci vuole lavoro, impegno e, soprattutto, occorre svicolare dagli errori che potrebbero rovinare la tua immagine, invece di sostenerla.
Scusa, che cosa hai detto? Il cugino del cognato di un tuo amico afferma che non devi credere a tutte le baggianate sul marketing online che trovi un po’ dappertutto? Che basta affidarsi a una delle tante eccellenti piattaforme gratuite per risolvere la faccenda in una o due ore al massimo? Benissimo. Credi pure a lui, che magari neppure ce l’ha un sito internet. Se invece ce l’ha, buttaci un occhio per vedere quanto è affidabile la sua opinione: se ha commesso almeno 2 dei 5 errori infami che ti sto per elencare,
NON SEGUIRE I SUOI CONSIGLI!
Ok, spiegami: esattamente, che cosa dovrebbe essere?
1. IL SITO È LA VETRINA DELLA MIA ATTIVITÀ
Questo errore l’abbiamo fatto tutti, chi più chi meno. Nel mazzo mi ci metto pure io, perché anche il sottoscritto ha buttato via un bel po’ di tempo, prima di vedere la luce.
Ti faccio il quadro e dimmi se sbaglio: sei un aspirante foodblogger, un novello cuoco a domicilio, vuoi aprire o pubblicizzare la tua scuola di cucina, vuoi far conoscere al mondo il tuo ristorante privato e allora ti sei detto: bene, mi faccio un sito dove dico due cose su chi sono e che cosa faccio, un bell’indirizzo, un numero di telefono e – mi voglio rovinare – pure il link a una pagina su Facebook, che non guasta mai. Che ci vuole? In fin dei conti, sono due robe in croce. Dopo tutto, il sito mi serve come vetrina, tanto per far capire che su internet ci sono anch’io e che se vuoi cercarmi con Google, mi trovi.
Regola numero uno: il sito è il tuo specchio, non una vetrina.
Ti faccio i miei complimenti, perché sei davvero un omettino dell’Ottocento, a pensarla così. Consolati, perché sei in buona compagnia. Sai quanti amici ho che la pensano come te? Quasi tutti. E se dici loro che il giro del fumo non è quello, ti guardano come se l’ingenuo fossi tu, che la fai difficile difficile. Allora lascia che ti riveli un segreto di Pulcinella: internet è una rete mondiale. Significa che collega ogni giorno miliardi di persone. Secondo te, perché proprio la tua vetrina dovrebbe spiccare fra miliardi di altre? Eh, dirai tu, mica mi devono trovare quelli di Nairobi o di Pechino. Mi basta che mi scoprano quelli del mio paesello… Beh, se il tuo paesello è Milano, o Roma, o Napoli, o Bari, sei già messo male. Stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone. Ripeto: perché proprio la tua homepage dovrebbe sbucare dal nulla? Perché tu dovresti essere più bello di altri, ammesso e non concesso che tu appaia davvero fra le prime pagine di Google?
Scommetto che mi stavi rispondendo così: «Sono uno chef davvero bravo e uso materie di primissima qualità», «La mia scuola di cucina è davvero condotta bene», «Il mio ristorante privato è l’unico a fare vera cucina del territorio» e via dicendo. Guarda, ci credo. Credo fermamente in tutto quanto mi dici di te. Peccato che ci creda solo io. Nessun potenziale cliente ha la possibilità di saperlo, però. Anche perché il tuo sito-vetrina, ammettiamolo, è identico a tutti gli altri: una piccola presentazione, qualche foto né bella né brutta (se va bene), un indirizzo, un numero di telefono. Più che una vetrina, sembra un giorno di Quaresima.
«Ma l’importante è essere su internet…». Che l’importante sia partecipare vallo a raccontare a quelli delle Olimpiadi. Se sei su internet per far numero, puoi anche lasciar perdere e risparmiarti la fatica.
Non ti servirà a nulla.
Tu devi essere su internet per farti notare. Se non ti fai notare, hai perso. Della tua partecipazione non frega a nessuno.
E nessuno ti noterà mai, se il tuo sito si limiterà a essere una vetrina, ossia un grosso e anonimo biglietto da visita virtuale che non attira nessuno, che non incuriosirà nessuno.
Stampati in testa questa massima:
IL SITO È UNO SPECCHIO
Scrivitela su un post-it e appiccicatela in bagno, così la vedi tutte le mattine. Se vuoi che qualcuno s’interessi a te, il tuo sito deve rispecchiarti. Deve essere una tua estensione, un veicolo per comunicare agli altri le tue passioni, i tuoi interessi, la tua personalità, la tua ricerca. Tutte quelle cose, insomma, che ti rendono unico.
Non ho detto che sia facile. Ma questo è l’obiettivo a cui devi mirare. E pensare al tuo sito come a una semplice, onesta, insignificante vetrina, simile a miliardi di altre, non t’aiuta. Anzi, ti sputtana subito. Se il tuo sito è come tutti gli altri, anche tu sei come tutti gli altri. E se sei come tutti gli altri, allora non sei nessuno. Ricordatelo sempre: il sito è uno specchio, non una vetrina.
2. UN SITO GRATUITO BASTA E AVANZA
Questo infame errore è figlio del precedente. Come vedrai, questi sbagli colossali sono tutti incatenati fra loro, come i pezzi del domino: parti con un mattone storto e tutta la torre che costruirai la puoi fin d’ora regalare ai pisani, così fanno il paio.
Certo, se pensi che il tuo sito, invece di rispecchiare l’intera tua personalità, debba esser solo un ipertrofico biglietto da visita, allora prego, accomodati pure e inanella la tua seconda, preziosissima cazzata per quella collana di cazzate che presto userai come collare del tuo fallimento. Con il quale potrai buttarti a mare.
«Ma scusa», mi dirai, «io non ho un euro e non so neppure se quest’attività mi porterà mai un soldo. E tu sei qui a dirmi che non dovrei approfittare delle risorse a costo zero che riesco a procurarmi? Non mi proporrai mica di spendere migliaia di euro con un’agenzia, vero?».
Regola numero due: non mentire mai, neppure a te stesso.
No, non lo farei mai. Sia per quello che hai appena detto e che è verissimo, sia perché un’agenzia – ammesso e non concesso che faccia un buon lavoro – non sarà mai in grado di darti un sito che ti rispecchi davvero. E poi ti chiederà sul serio un sacco di soldi. Ma di quest’argomento parleremo un’altra volta quando, fra le altre cose, ti rivelerò come lavora il 98% delle agenzie e che cosa ti propineranno per un sito da 1.500/1.700 euro. Ora mi limito a dirti che, se apri un sito gratuito, commetti una cazzata.
Perché proprio una cazzata?
Perché le cazzate, quando le fai, non te ne accorgi subito. Anzi, magari ti sembrano una figata pazzesca, ti fanno sentire furbo, intelligente, addirittura accorto e prudente. «Guardali lì, tutti quei cretini che buttano via tempo e denaro per i loro siti. Io ho frugato due minuti su internet e ho trovato chi me ne regalava a manciate! E vuoi saperlo? In un paio d’ore al massimo ho fatto e finito il mio. Figo, non è vero?».
No, per nulla. Ma per il momento non te ne accorgi. Lo dico per esperienza. Già, perché questa è stata la mia seconda cazzata (la prima è stata credere che il sito sia una vetrina). Un giorno mi sono distrattamente chinato e… zac! Eccoti la cazzata che ti prende alle spalle proprio quando non ci pensavi più!
Vuoi sapere in che modo mi sono metaforicamente chinato, lasciando del tutto indifese le terga? Quando mi sono cercato su Google. Proprio così. Lo ricordo come se fosse ieri.
Prima clicco “personal chef Varese”… Toh, non ci sono. Ehi, ma sono già arrivato a sfogliare fino alla ventesima pagina e ancora non ci sono! Oddio, forse ho preteso troppo… vediamo di abbassare un po’ la cresta. Proviamo “personal chef Cantello”, che è il paesello dove abito io, giusto 3.000 anime a dir tanto e voglio vedere se ci sono altri cuochi a domicilio, fra di loro. Niente neppure qui. Ma com’è possibile? Ok, andiamo giù pesante: “Giorgio Giorgetti personal chef”. Se non appaio adesso… ecco, appunto, non ci sono! Coooosa? Non ci sono neppure con il mio nome e cognome? Ma non ci credo!
Credici, invece. E te lo dico io com’è possibile. Te lo dico perché l’ho scoperto, come hai letto, a mie spese: Google snobba i siti gratuiti. Bada bene: non è che non li indicizza, ossia non li legge e non li mette fra le sue pagine. Però pensa che sia roba di poco conto. Perché sono gratuiti? No, perché sono sottositi. Spesso sotto sotto sottositi. Hai presente una scatola di pastina da 500 grammi? Ecco, Google vede molto bene la scatola, ma pensa che ogni singolo grano di pastina non sia, dopo tutto, molto importante. Se proprio non ha altro da mettere in pagina, magari ti ci ficca pure, foss’anche in decimillesima posizione. Ma non è che ti considera poi tanto…
GUARDA CHE NON LO VEDI!
Sto mentendo? Ok, allora, se hai un sito gratuito, vai su Google e provaci tu stesso. Mettici pure il tuo nome e cognome e la città in cui operi. Visto? E pensa che il tuo eventuale (ora davvero molto, ma molto eventuale) cliente non ha il tuo nome e non sa neppure che sei un personal chef o che hai una scuola di cucina. Guarda un po’, va così male che, se avevi un comunissimo blog di quelli che ti apri in cinque minuti con Blogger (noto anche come Blogspot), era cento volte meglio. Perché il nostro caro Google almeno i siti di Blogger li rispetta: tutti gli altri no. Magari perché Blogger è di sua proprietà? Mah…
Torniamo a noi. Ora che hai visto con i tuoi occhi, sarò un po’ più tecnico e ti illustrerò a parole – dato che ormai non ne esiste più traccia – com’era il mio primo sito su Wix. Avevo scelto Wix perché aveva siti più eleganti e moderni degli altri. Inoltre, avevano anche una caratteristica importante che mi aveva convinto: sono siti responsive, che nel gergo dei webmaster significa “un modello in grado di adattarsi ai dispositivi mobili”.
Una figata, insomma! Ed era gratis. Ecco il mio link: giorgiogiorgetti.wix.com/personalchefvarese. Che cos’ha che non va, questo link? Che io SEMBRO essere in primo piano, ma in realtà sono stato sbattuto in un sottodominio di un dominio immenso come quello di Wix, che è come dire esser ficcato in un sottoscala o, ancor meglio, esser grano di pastina fra migliaia di altri granelli. La colpa è tutta di quel “wix.” che annulla la mia presenza e che mi pianta nella sua batteria intensiva di polli d’allevamento, tutti uguali, senza caratteristica di spicco alcuna. Senza caratteristica di spicco per Google, intendo, che non è proprio in grado (anzi, diciamo che non ha tempo da perdere) di frugare fra tutti quei volatili identici fra loro e starnazzanti. Per farla corta: potevo metterci il mio nome e cognome, il luogo dove lavoravo e, appunto, la mia professione, ma non mi vedeva nessuno.
Ce ne sarebbero altri, di motivi, che dovrebbero tenerti lontano dai siti gratuiti. Ma non credi che questo basti e avanzi? Capisci anche tu che, a questo punto, c’è una cosa sola che puoi fare, mi dispiace: devi rimboccarti le maniche e farti il sito da solo. Difficile? Ni. Dipende. Ma questa è un’altra storia e bella lunga. Ne parleremo in altri momenti. Se mi segui sul blog, vedrai che il modo per farlo esiste e può persino essere appassionante.
3. LE IMMAGINI NON CONTANO. CONTA LA QUALITÀ DEL CIBO
Se ragioni così e ne sei persino convinto, non perdere più tempo. Molla qui l’articolo e dedicati ad altro. Che so? Ad aprire un sito gratuito, per esempio.
Guardiamoci negli occhi: io credo in te e nella tua bravura. Per me sei il più grande chef, insegnante di cucina, foodblogger, ristoratore, pasticciere, fornaio del mondo. Te lo sto dicendo con sincerità e con tutto il cuore. Ma, come ti ho detto prima, sono l’unico ad avere in te una fiducia così cieca. Sono la tua dannatissima cieca fortuna. Tutti gli altri invece ci vedono benissimo, come la sfiga. E vedono le foto che metti sul tuo sito. Foto di merda, cibo di merda: un’equazione
che abbatte ogni eufemismo. Su Pinterest, su Instagram e su Facebook esistono pagine e pagine che collezionano le foto più ributtanti prese proprio da siti di chef, di foodblogger, di appassionati che, come te, s’illudono che le immagini non abbiano alcun peso, in confronto alla qualità dei loro manicaretti. E questo è un ragionar da stupidi: poiché nessuno può condividere in rete profumi e sapori, gli occhi restano l’unica porta dell’appetito, oltre che dell’anima.
E se io vedo una foto ripugnante, sento che anche il cibo è ripugnante. Non si scappa. Se pensi il contrario, sei un illuso e un ingenuo. Perché tu, come essere umano, sei attratto dal bello, dal fresco, dal pulito. Infatti, non ricordo una pubblicità del Cornetto Algida in cui frotte di nonnine con treppiede zampettano come tacchine zoppe su una spiaggia assolata… Non la ricordo perché non l’hanno fatta e non la faranno mai! Indovina perché? Prova sul campo: stai notando le foto di quest’articolo? Non ti disgustano? Non ti stanno rendendo addirittura difficile seguire il discorso? Bene, ho detto tutto…
Regola numero tre: forma e contenuto vanno di pari passo.
Perciò, quando mostri una foto immonda, che grida vendetta al cospetto di dio e degli uomini, mostri un Cornetto Algida azzannato da una geriatrica dentiera. Fa schifo la dentiera, fa schifo il gelato. «Senti, amico» dirai «avrai anche tutte le ragioni del mondo, ma io faccio il cuoco, mica il fotografo. O mi stai dicendo che dovrei cercarmene uno? I soldi me li dai tu, vero?». Beh, certo, se tu avessi al tuo seguito un fotografo professionista non sarebbe male. Ma immagino che non tutti siano così fortunati, No, quello che ti propongo è di curare le immagini che fai tu. Di guardarle con occhio critico e, se fanno schifo, di non pubblicarle. Ora, può capitare che tu faccia parte di quella rarissima selezione di esseri umani che ritengono perfetta e innamorante qualsiasi cosa da loro prodotta, cacca compresa. Però ne dubito, ne dubito fortemente assai.
LA TRISTE VERITÀ…
La verità è che tu pubblichi foto ripugnanti per questi quattro veri motivi:
Il primo: le immagini non contano, conta la qualità del cibo (già sentito?).
Il secondo: meglio di così non le so fare. Non sono un fotografo.
Il terzo: le gente che ha mangiato questo piatto l’ha adorato, mica sono stati a vedere se era bello o brutto.
Il quarto: sì, adesso devo preoccuparmi anche delle immagini?
Il primo pensiero è un errore infame. Te l’ho già rivelato. Se in testa ti circolano cose come il terzo pensiero, allora sei scemo. Scusami, sai, ma è inutile girarci tanto attorno. Dimmi come fa uno sconosciuto su internet ad assaggiare per davvero un tuo piatto. Se me lo dici e mi convinci, allora lo scemo sono io.
Il secondo pensiero è lecito. Se hai fatto solo quello, sei sulla buona strada. Perché hai ragione: non sei un fotografo professionista e neppure puoi pagartene uno. Aspetta, cosa stai dicendo? Sì, bravo, mi hai anticipato: devi imparare a fare da te foto migliori.
Impossibile? Assolutamente no. Basta un po’ di autocritica, qualche attrezzo giusto e buona volontà.
Non ti prometto che diventerai il genio della fotocamera, ma scatti decenti ne tirerai fuori, vai tranquillo. Il quarto pensiero è… ok, è umano. L’ho fatto anch’io, prima di prendere in mano la mia reflex e di convincermi che dovevo lavorare per raggiungere un risultato. Puoi farlo, questo pensiero, ma per cinque minuti. Poi rimboccati le maniche e vai a fotografare!
Questo discorso delle foto mi porta al quarto, inverecondo, vergognosissimo e infame errore… Così infame che, ogni volta, non credo che a qualcuno venga in mente di farlo… E invece…
4. FOTO BELLE, MA NON DEI MIEI PIATTI
Attenzione, attenzione, perché lo dico subito per non essere frainteso poi: qui non ti parlerò di chi ruba foto dai siti altrui, spacciandole per proprie. Quello non è un errore, è stupidità. E la stupidità sarà argomento di altri articoli. Qui esamino soltanto le cazzate: quelle azioni che paiono furbe lì per lì (e lecite, e oneste), ma che poi si rivelano armi a doppio taglio, capaci di affossare tutti i nostri sforzi.
Quindi, ti parlo di chi usa foto professionali che non hanno nulla a che vedere con le proprie realizzazioni, pur facendo finta di sì. Questo far finta, di solito, significa non dire nulla, tacere. Tanto, chi vuoi che abbia il coraggio di fartelo notare…
Regola numero quattro: se non hai soldi, impara a fare da solo.
Di solito capita così: quando ho aperto il mio sito (gratuito), vi ho trovato incluse parecchie belle immagini. Le tengo: sono graziose, fanno scena e attirano i potenziali clienti. Che male c’è se non illustrano proprio i miei piatti? Oppure: internet è pieno di posti dove regalano foto molto ben fatte, non infrangi nessun copyright e le puoi usare liberamente. E sono meglio di qualsiasi cosa io possa scattare… Bello, vero?
Bello, sì. Però è una cazzata. Ormai sai che cosa intendo per cazzata: quell’idea che sembra furba ma, quando meno te l’aspetti, t’aggredisce con tutta la sua violenza enteroclismatica. Ti racconto questa: un giorno vedo sul sito di cucina di un mio conoscente una bellissima foto di patate soffiate. Per chi non sapesse che cosa sono, pensi a una fettina di patata fritta che, invece di essere modello Pai o San Carlo, è molto più scenograficamente gonfia.
Niente di trascendentale, per carità, ma io non le avevo mai fatte e, tra la bellezza della foto (ignoravo che il mio amico fosse così abile) e la ricetta che non avevo mai sperimentato, mi erano rimaste in mente. Un giorno capita che ci sentiamo al telefono e mi tornano in mente le patate. «Ma le patate soffiate ti sono venute al primo colpo?», dico. «Ma per patate soffiate intendi quelle sottili sottili che si gonfiano?» «Sì, quelle…» e stavo per dire «quelle che ho visto sul tuo sito». Ma lui mi precede: «Mai fatte le patate soffiate, non saprei neppure dove cominciare».
Mettiamo che ti capiti con un cliente, che dici? Oppure, hai sul tuo sito immagini di piatti alla food design, mentre tu a malapena sai usare il coppapasta. E il cliente che pensa: ma allora quelle foto non sono sue! Già, non sono tue. Certo, se pensi che il tuo sito sia una vetrina, allora il tuo ragionamento va bene. Peccato che il tuo sito sia uno specchio che, agli occhi del mondo, riflette la tua personalità. Perché è questo il peccato più grave: basi su una menzogna il tuo rapporto con il cliente. E non ha senso: è come se su Facebook mettissi la foto di Robert Redford da giovane e la spacciassi per tua. Non scherzo, è la medesima cosa. Se menti, appariranno menzogne. E le menzogne hanno le gambe corte, soprattutto in cucina.
Ma a proposito di bugie…
5. I MIEI TESTIMONIAL? SOLO MODELLE, OF COURSE!
Lo so che non ci credi, ma ti scongiuro di farlo. L’ho visto, con i miei occhi: c’è chi usa immagini di fighi e fighe raccattate da internet per testimoniare la bontà della sua cucina. Sì, proprio così! Tanto, chi vuoi che se ne accorga, pensa la volpe?
Oh, certo, sappiamo tutti che, ovunque tu vada, lavori sempre e soltanto per manzi e puledre di prim’ordine!
E ci crediamo, tranquillo. Oh, se ci crediamo! Ora: se mi hai combinato un’assurdità di questo tipo, tu hai davvero qualcosa che non va e devi farti un profondo esame di coscienza. Oppure rivolgerti a uno specialista, perché tanto normale non sei.
Continuo a dirti che il tuo sito è il tuo specchio e tu menti così spudoratamente? Ma chi potrebbe mai prenderti sul serio, se ti abbassi a queste cose? O forse pensi che la gente sia scema? Fantastico: in un colpo solo hai mentito e dato dello stupido al tuo potenziale cliente. Sei un genio del web marketing: presto, offrite un Nobel a questo diversamente astuto!
Regola numero cinque: sii sempre realistico (e verosimile).
A parte gli scherzi: se menti, ti tagli le gambe da solo. Sempre. Il brutto di queste cose, però, è che non sai quando ti fregheranno. Magari da subito, perché nessuno prenderà mai sul serio un poveretto che fa queste cose. Oppure un giorno, davanti a un cliente.
Eppure c’è chi lo fa, con effetti a volte talmente ridicoli, che non si capisce se è autoironico o imbecille. Come quello che, sotto foto di cotanto quarto di bue, scrive (giuro che è vero, potessi morire in questo istante): “con lo chef Tal dei Tali la mia ragazza ha finalmente provato l’orgasmo culinario!”.
Non hai testimonial? Ok, non li hai. Punto e basta. Magari sei alle prime armi, magari non ti ha ancora filato nessuno. Non è un crimine. Succede. Ma mettere la foto di una modella non solleverà le sorti della tua immagine: passerai soltanto come uno che non ha rispetto di sé e degli altri. E, soprattutto, insinuerai il sospetto che – finto il testimonial – forse è finto anche tutto il resto. Eppoi, se ci pensi bene, dei testimonial veri ce li hai, non hai bisogno di cercarli fra le riviste di moda. Dove sono? Ma i tuoi amici e i tuoi parenti, e chi se no? Vuoi dire che non hai mai cucinato per loro? O insegnato una ricetta? Quelli sono i tuoi più veri testimoni, possono giurare davanti al mondo che pensano di te tutto il bene possibile e, soprattutto, belli o brutti che siano, avranno facce e corpi normali.
Saranno credibili. Saranno veri. Perché è questo che devi mostrare sul tuo sito: verità, realtà. Anche e soprattutto quando è difficile. La verità potrà anche essere scomoda, ma cadrai sempre in piedi. Con la menzogna, invece, fai pochi passi. Sempre.
Ecco, questi sono gli errori che, appena li compi, t’infamano subito. E sai perché? Perché sono tutti figli di una pessima madre: il mio sito è la vetrina della mia attività. Non è così. Il tuo sito è lo specchio in cui ti rifletti e attraverso il quale t’osservano gli altri. Se il tuo sito è simile a quello di tanti altri, sei solo uno dei tanti. Se è pieno di menzogne, sei solo un bugiardo; se è sciatto, allora sei sciatto in tutto. Il sito sei tu. Deve essere te. Pensaci: è l’unico modo che hai per farti conoscere davvero, per distinguerti dagli altri. Cosa non facile, ne convengo. Ma non impossibile. Prendere coscienza di questi cinque errori (ed evitarli o tentare di correggerli) è il primo passo.
Il prossimo seguirà.
si, avevo visto questa vetrina degli orrori e in effetti di questi errori eclatanti il web e’ pieno. Ma, permettimi di attirare la tua attenzione anche su un pericolo molto piu’ subdolo: i libri malfatti che parlano malamente di cucina. Tralasciamo certi orrori di ebook in cui, prima della gastronomia, si prende a pedate la grammatica; esistono anche libri apparentemente ottimi che celano errori ben nascosti, nascosti ma fatali.
Il piu’ terrificante, che ho eclatantemente trovato in libri di un notissimo autore di cui ovviamente non faro’ il nome’, e’ quello di indicare tempi di cottura completamente sbagliati ( di solito molto piu’ brevi del dovuto). Cosa assurda, mi ricorda quello che distrattamente leggevo circa misteriosi testi di magia nera (argomento che, sia ben chiaro, non mi interessa affatto): gli autori per evitare dilettanti allo sbaraglio, avevano inserito volutamente degli errori, facili da vedere per gli esperti, ben nascosti per gli apprendisti stregoni. Che la cucina sia cosa simile alla magia?
A volte penso che sia difficile, anche con tutta la buona volontà del mondo, indicare i tempi di cottura esatti, sempre che essi esistano e non siano una favola. Mi spiego: per 18 anni ho avuto un piano cottura a gas con il fornello piccolo che riscaldava il caffè assai lentamente. In qualche maniera, si era tarato sul tempo che impiegavamo io e mia moglie a consumare la colazione. Ora, con la cucina nuova, ho il fornellino che ci mette un nanosecondo. Insomma, su che cosa tari i tempi di cottura? Su un ipotetico fornello medio? Non lo so, non vorrei essere troppo ingenuo, ma tutti gli chef che ho visto lavorare cucinano a occhio. A uno ho proprio chiesto: ma come fai a capire se questa carne è cotta? Mi ha risposto: boh, lo vedo. Ovviamente non mi sapeva dire che cosa vedesse. Così immagino per lo chef del libro: avrà di sicuro buttato lì i tempi, pensandoli giusti, oppure pensando ai fornelloni a fiamma altissima delle cucina e non alle bocchette di casa nostra. Anche se pensare che la cucina sia simile alla magia è più suggestivo… Peccato che faccia fatica a crederci !