“Papà, pappare i papaveri, come si fa?”
– Nilla Pizzi (Papaveri e papere)
Se navigo fra le aste online, mi sento decrepito per davvero. Stamattina scopro che i 22 volumi de La Buona Cucina (Curcio Periodici), a cura di Giuliana Bonomo e pubblicati verso la metà degli anni Settanta, sono in vendita a 400 euro. Tutti e 22, s’intende. Provo quindi un sentimento un po’ contraddittorio: da una parte sono felice di possederli ancora tutti e in uno stato eccellente (sai mai…), dall’altra un po’ una mummia, perché io quei volumi li ricordo come una cosa di casa, non come un oggetto da collezione.
La ricetta di oggi, quindi, s’ispira ai primordi dell’umanità e ai miei primi, serissimi accostamenti al fuoco. Mio padre Mario, con somma pazienza, mese dopo mese m’acquistò l’opera in edicola, volume dopo volume, fingendo di credere alla promessa di piatti sempre più gustosi da una parte e, dall’altra, al mio desiderio di allargare i confini ristretti in cui si rinchiudeva la mia famiglia. Per lo meno quando si parlava di cucina.
Mia madre Antonietta mi aveva insegnato parecchie cose (soprattutto come fare la pasta in casa), ma era piuttosto miope quando guardava all’orizzonte: la tradizione, o per lo meno quella parte di tradizione che lei riteneva valida e sicura, costituiva le nostre Colonne d’Ercole. Oltre c’erano i leoni o, peggio ancora, i sapori improponibili e barbari di chissà quale debosciata civiltà.
Storie e racconti di un tempo che fu, quando Cortina d’Ampezzo era esotica quanto il Paraná.
Io, invece, ero curioso come una biscia già allora. E il sottotitolo de La Buona Cucina mi faceva fremere: “Enciclopedia della cucina internazionale”. Internazionale! Mica pizza e fichi o pastasciutte alla salsa di pomodoro o lasagne al forno o risottino giallo per il bimbo che pare tanto deperito… No, no, qui si parlava di acquisire conoscenze che mi sarebbero state precluse in eterno, se non avessi varcato quei confini di famiglia.
Devo dire, a onor del vero, che l’opera mantenne per buona parte le sue promesse. In quei simpatici volumetti, corredati da foto che mi parevano fantastiche e tentatrici, rinvenni ricette di regioni italiane che non avevo mai visitato, ricette francesi, inglesi, addirittura arabe e brasiliane. Insomma, una goduria, anche se in casa non tutti impazzirono dalla gioia davanti a un arroz con banane acerbe e ananas, preparato da un ragazzetto che a mala pena sapeva dove fosse il Sudamerica, figuriamoci quegli strani sapori.
Mio padre non c’è più, ma «Buono dove ci sono i piselli» resterà con me per sempre.
Però non è al Brasile che oggi m’ispiro, ma alle esoticissime Dolomiti, reinterpretando una ricetta (oggi si direbbe destrutturando) che mi è sempre stata molto cara: i casunziei ampezzani, la pasta ripiena specialità di Cortina d’Ampezzo
Fu il colore della barbabietola rossa per il ripieno e i semi di papavero passati nel burro fuso a conquistare la mia fantasia… Anche perché di papaveri ne avevo visti tanti, ma di semi… ai tempi erano rarissimi, mica si trovavano dappertutto come oggi! Io e mia madre Antonietta girammo negozi su negozi finché, alla fine, non ce li procurò la proprietaria di un’erboristeria.
Anni Settanta del secolo scorso e sembra di parlar di piramidi: oggi fa ridere, ma allora anche le erboristerie erano appena spuntate fra i classici negozi paesani, a dimostrazione che qualcosa nel Bel Paese stava cambiando.
La ricetta dei casunziei ampezzani, appunto, è un po’ figlia di quello stupore, in un momento della nostra storia in cui per molte famiglie Belluno e i suoi monti erano distanti come il Brasile. Amavo molto quella sorta di agnolotti dal ripieno violaceo e ogni volta che potevo li rifilavo a tutti.
Ricordo con tenerezza una volta che, non so come, me li ritrovai tutti appiccicati sulla spianatoia, un irrisolvibile cubo di Rubik di pasta, ricotta e barbabietole. In preda al panico e incapace di pensare a tanto spreco, sbollentai il terrificante impasto e lo ficcai in una teglia. Vi aggiunsi burro, formaggio e piselli e misi in forno, sperando di tagliarlo a fette come un timballo di tortellini! Beh, inutile parlarti di quanto fosse abominevole il pastone. Mio padre, però, tentò di mangiarlo a più riprese, con estremo coraggio, pronunciando la fatidica frase che in seguito – e a più di 40 anni di distanza – ancor oggi io e mia sorella esclamiamo davanti a qualcosa di veramente immangiabile: «Buono dove ci sono i piselli»!
Tagliatelle con robiola, semi di papavero e salsa di barbabietola
Ingredienti
- 500 g Tagliatelle fresche
- 1 Barbabietola già lessata
- 2 cucchiai Olio extravergine d'oliva
- Acqua q.b.
- 4 cucchiai Semi di papavero
- 400 g Robiola cremosa
- 50 g Burro
- Sale
- Pepe
Istruzioni
- Prepara la salsa di barbabietola.
- Taglia la barbabietola in pezzetti e mettili in un frullatore.
- Aggiungi i 2 cucchiai d'olio e un po' d'acqua (circa mezzo bicchiere).
- Comincia a frullare: se il composto è troppo solido, aggiungi ancora un po' d'acqua, senza esagerare.
- Togli il passato di barbabietola dal frullatore e aggiusta di sale di pepe.
- Mettilo in un pentolino e ponilo sul fuoco molto basso.
- Prepara il condimento.
- Metti i semi di papavero in una padella, senza alcun tipo di olio e di grasso, e falli tostare per un massimo di 2 minuti a fuoco vivo.
- Aggiungi i 20 g di burro, abbassa il fuoco al minimo e lascia aromatizzare il burro per 1 o 2 minuti al massimo.
- Togli dal fuoco e leva un po' di semi dalla padella: ti serviranno per decorare il piatto alla fine.
- In un pentolino, sciogli il burro, toglilo dal fuoco e mescolalo con la robiola, fino a ottenere una crema.
- Prepara la pasta e componi il piatto.
- In una pentola d'acqua bollente salata, cuoci le tagliatelle per i minuti riportati sulla confezione.
- Scolale e, ancora umide, versale nella padella dei semi e falle saltare qualche secondo a fuoco vivace, mescolando. Unisci subito la crema di robiola e mescola o fai saltare la pasta per un minuto.
- Versa un paio di cucchiai di salsa in ciascun piatto di servizio.
- Metti la pasta e decora con i semi di papavero che avevi messo da parte.
- Servi immediatamente.
Note
Naturalmente, puoi fare le tagliatelle a mano, se hai tempo e voglia.
Le barbabietole lessate si trovano già confezionate un po' ovunque e facilmente: dal piccolo ortolano alla grande distribuzione.
I semi di papavero sono diventati piuttosto comuni e di solito riposano fra gli scaffali dei cereali, dei legumi e di altri semi (come quelli di lino).