“Se c’è una cosa che non sopporto è la presunzione di chi si crede migliore di me!”
– Freak Antoni
Giorni addietro, un parente di sesso maschile mi ha detto che sono vanesio. “Ma quanto sei vanesio!”, ha detto. Proprio così. Moi? Vanesio? Ho sottolineato “di sesso maschile”, perché di solito l’aggettivo lo usano le donne quando vogliono schiaffeggiarsi tra loro, mica i maschi ultracinquantenni. Vanesio io, che mi metto i primi vestiti che trovo nell’armadio, quando non ci cado dentro per distrazione?
“Guarda che sei un vanesio perché pubblichi su Facebook i menù delle tue cene, non fare il finto tonto”. Ah, ok. Ci sta. Però non è vanità, giurin giurella e croce sul cuore.
Lo faccio perché mi piacerebbe tanto che “passasse un certo messaggio”, come dicono le persone serie. Il messaggio è: mettila sempre sul personale, almeno con me. Con gli altri, non lo so: non posso parlare per la concorrenza, perché più di tanto non la conosco né la comprendo. Ma con me sì. Per questo pubblico i menù su Facebook, su Instagram, e mi dilungo sulle piccole storie dei miei clienti: per dimostrarti, con esempi reali, che davvero io non ho menù fissi, ma tantissime proposte diverse che sono solo un punto di partenza, un pretesto, per costruire questa tua esperienza proprio come vuoi tu. Diversa e personale come nessun’altra.
Perché un personal chef è davvero diverso dal ristorante. Che venga a domicilio è soltanto la punta dell’iceberg.
MA QUALE CHEF?
Anche se devo definirmi personal chef per questioni di Google (come mi trovi, se no?), non mi sento davvero un vero chef. Lo chef è un capocuoco che in un ristorante si occupa di tutto ed è responsabile di tutto, e di solito arriva a esserlo dopo essersi fatto, per anni e anni, un mazzo grande come un obelisco egizio a imparare il mestiere dalla gavetta. Dire chef è facile, esserlo molto meno.
Per questo, se non fosse per facilitare le ricerche su Google, di questo appellativo che mi sento di rubare ne farei volentieri a meno.
Al tempo stesso, confesso che non amo definirmi cuoco a domicilio. Non perché sia una definizione errata, si badi bene, ma perché amo molto quel “personal” che c’è in personal chef, non riesco proprio a farne a meno. Continuo a credere che sia questa la vera differenza tra andare al ristorante e farmi entrare in casa tua.
Certo, ok, c’è anche qualche altra comodità. Come mi ha fatto notare una cliente con bambini piccoli, se ti devi tirar dietro dei bimbi non esci più, nei locali ti sparano a vista. E poter avere a casa qualcuno che ti cucina la cena di un ristorante è bello, gratificante. Ti fa sentire meno in galera, meno obbligato a rinunciare. E magari finisci per voler ancor più bene alle tue piccole pesti, proprio perché tiri un attimo il fiato.
Personal significa personale. E sei tu a decidere quanto personale vuoi che sia la tua esperienza sulla tua tavola.
Ma lasciami tornare alla questione del personale. Il personal chef (o cuoco a domicilio che dir si voglia), nonostante alcuni dicano sia di moda, non è poi così sommerso dalle richieste. Ammettiamolo, si fa prima ad andare al ristorante, se non si hanno infanti al seguito. Se non ci credi, ti invito a leggere Ma quanto costa un personal chef a domicilio?, che ti spiega molte cose in proposito.
E come lo scegli un buon locale? Di solito per curiosità (“Proviamo quel posto dove non siamo mai andati?”) oppure perché è da tempo una garanzia (“Lì fanno un risotto buonissimo!”). Oppure è comodo (“Abbiamo la fortuna di mangiare benissimo proprio dietro casa”) o siete affascinati dalla celebrità dello chef (“Gli hanno appena dato una stella Michelin, ci crederesti?”).
La spinta che ti porta verso il ristorante è molto forte e ben giustificata, come vedi. È per questo che, nonostante la crisi (e il Covid), la richiesta da parte del pubblico resta piuttosto alta.
NON SONO UN’ALTERNATIVA AL RISTORANTE
Per quale motivo, invece, dovresti volere un personal chef? La domanda non è peregrina, perché vorrei dimostrarti che un personal chef o comunque un cuoco a domicilio, non è un’alternativa al ristorante, ma qualcosa di totalmente diverso. Inoltre, è proprio perché non si sa bene come rispondere a questa domanda che la richiesta di un personal chef ancora non decolla del tutto.
Ti va di provare a chiedertelo con me? Tentiamo.
Perché vai al ristorante? Perché dovresti scegliere un personal chef, anche se ti costa di più che un buon locale?
C’è chi spera che costi meno del ristorante o di un catering. Purtroppo non è così: un personal chef diventa conveniente solo per gruppi che superano le 10 persone. Per gruppi inferiori è più caro di un ristorante o, per lo meno, costa come un locale di lusso. I perché, come ti dicevo, te li spiego in “Ma quanto costa un personal chef a domicilio?“.
Ora mi basta sottolineare che scegliere un personal chef solo per l’aspetto economico non conviene. E, infatti, chi lo fa per solo questo motivo svanisce al primo preventivo…
C’è chi vuole un’esperienza diversa. Questa è una motivazione forte e molto importante. Una cena a casa propria, con un professionista che cucina e ti toglie ogni incombenza, è vivere davvero qualcosa di particolare. Un lusso (perché di questo si tratta) non effimero, ma concreto, reale, che ti ricorderai per un sacco di tempo. Tutti i miei clienti sono accomunati da una fondamentale caratteristica: conoscono l’importanza del gesto, dell’originalità, del modo diverso di vivere le esperienze quotidiane. Certo, anche loro si saranno fatti i loro conti in tasca. Ma non li hanno messi in prima linea. Hanno privilegiato l’esperienza nuova, da regalarsi e da regalare. Perché hanno compreso che è qualcosa che nessun ristorante può darti.
La ricerca di un’esperienza diversa è il motore che smuove la stragrande maggioranza dei miei clienti.
Ce ne sono altri, di questi motori? All’apparenza no: è il motivo per cui le richieste di un cuoco a domicilio sono abbastanza limitate. Ma è anche vero che spesso è lo stesso professionista a non suggerire qualcosa di ancor più interessante.
Butta un occhio in giro. Scoprirai che nessun altro cuoco a domicilio ti permette di comporre, in piena libertà, il menù della tua prossima esperienza gastronomica.
E che cosa dovrebbe fare? Per esempio, pigiare l’acceleratore su quel “personal” e trasformare un’esperienza originale in un’esperienza unica e irripetibile. L’iniziativa, infatti, deve per forza partire da me, dal cuoco che ti fa la proposta: se voglio che il menù sia solo tuo, non deve esistere un mio menù. Non devo presentarmi proponendoti uno, due, tre menù fissi come la carta di un ristorante.
IL MIO VERO DONO È LA LIBERTÀ
Io non ti offro ciò che ti offre un ristorante: ti offro invece qualcosa di diverso, che ora voglio rendere unico, solo tuo, esclusivo. Personale. E allora via i menù. Piuttosto parliamoci. Partiamo dalle solite informazioni, ciò che ti piace e ciò che non ti piace. E poi ti invito a pensare all’esperienza in sé. Lascia perdere il cibo, almeno in questo momento. Pensa invece a come vorresti che fosse l’atmosfera (conviviale, elegante, intima?), che impressione vuoi suscitare nei tuoi ospiti (raffinata, simpatica, familiare?)… Pensa a ciò che TU vorresti provare (sorpresa, comfort, lusso, semplicità?). E ora che sei entrato nel gioco, non abbandonarlo: io ti ho offerto qualcosa che altri personal chef non riescono a offrirti, ma ora tocca a te.
Io ti fornisco tutti gli strumenti e tutta la disponibilità di questo mondo. Ora tocca a te rendere personale e irripetibile questo momento.
Mettila sul personale, insomma. Lasciati intervistare e racconta come vivi ciò che mangi. Che tu sia un appassionato gourmet o uno che ama nutrirsi in modo frugale, mangiare fa parte di te, del tuo stile di vita, ancor più degli abiti che indossi. Non puoi farne a meno. Ci sono cose che ami da quando eri un ragazzo, altre che odi in maniera viscerale. Ci sono cibi che magari hai sognato, immaginato o che ti hanno incuriosito. Altri possono essere ricordi di un viaggio, di un momento particolare della tua vita…
Difficile? No, affatto, se ti lasci andare. Se ti togli dalla testa l’idea di doverti comportare come in un ristorante, ma comprendi che è il momento di sentirti finalmente libero.
Vuoi degli esempi concreti? Una mia cliente, lo scorso anno, mi ha chiesto di preparare due menù, uno vegetariano per lei e un altro più normale per il suo ragazzo. E la scelta dei piatti è durata oltre due mesi, perché lei ha cercato di carpirgli ogni segreto e fantasia (gastronomica) avesse.
Altro esempio: un mio recente cliente ha voluto un piatto polacco per la sua cena romantica d’anniversario, per ricordare insieme alla moglie il loro primo viaggio all’estero, appunto in Polonia. Dove lo trovi il ristorante che ti faccia cucina polacca, ammettilo?
Un’altra storia ancora, che ormai racconto sempre: ho avuto un cliente che, assieme alla moglie, hanno voluto provare il filetto alla Wellington di Gordon Ramsay, perché lo sentivano sempre nominare durante Hell’s Kitchen! Non so come dirlo, ma io il filetto alla Wellington non l’ho mai visto in nessun ristorante delle nostre parti e, credo, in nessun posto italiano.
Libertà, appunto. E personalizzazione al massimo grado. Certo, se non hai né voglia né tempo, le proposte pronte all’uso ci sono: butta un occhio al mio BISTROT.
Ma se ti va di giocare, e magari di essere anche tu un po’ vanesio, una volta tanto… METTILA SUL PERSONALE! E prova l’ALTA MODA: è molto meno cara di quanto tu creda!
Ah che bella verità! Quante volte tento di far capire alle persone il concetto ! Bell articolo.Grazie
Grazie, Enton. Sei un collega anche tu? Di dove sei?
E, a proposito del discorso: sono almeno 5 anni che vado ripetendolo anche ai diretti clienti, ma ancora mica s’è capìta, ‘sta storia… Quindi hai tutta la mia solidarietà.