“Un buon insegnante è un maestro di semplificazione e un nemico del semplicismo.”
– Louis A. Berman
Anche i personal chef vanno su Amazon e guardano ciò che la gente pensa di ciò che acquista. Così, da un paio di giorni leggo con curiosità i commenti che la gente scrive su questo sito. Mentre cercavo un paio di teglie di ferro blu – quelle per la pizza, tanto per intenderci – alcune recensioni mi hanno lasciato un po’ perplesso.
“Non compratela!” grida una donna. “Al primo lavaggio in lavastoviglie si è subito arrugginita! Da buttare!”. “Ruggine, ruggine, ancora ruggine!” esclama un tipo inviperito. “Neppure come sottovaso riesco a usare questa schifezza!”.
Ora: una teglia di ferro (così come una padella di ferro) non si lava con l’acqua (se non in rare occasioni), né tanto meno la si mette in lavastoviglie. Se lo fai, significa che hai comprato uno strumento di cucina senza saper bene perché. Vuol dire che stai avvitando una vite con un salame, non con un cacciavite.
Ma dove risiede il vero problema? Nell’ignoranza della gente? Forse, ma non ne sono così sicuro. Perché per sapere una cosa bisogna magari andare a scuola o, comunque, mettersi lì a imparare.
Credo quindi che la faccenda risieda invece nel concetto stesso di progresso. Sto per farti un discorso troppo complicato? No, tranquillo. Pensa a questa cosa: una delle più grandi conquiste nel mondo del pentolame è stata l’antiaderenza. Ci è piaciuta così tanto, questa caratteristica, che oggi come oggi non riusciamo neppure a pensare di poterne fare senza. Ci siamo ormai abituati a credere che l’antiaderenza di una padella sia il massimo a cui possiamo aspirare e la panacea di ogni male. Così, quando non la troviamo, pensiamo a un difetto di fabbricazione. E le scuole di cucina, per la maggior parte, tramandano quest’inganno.
Non sempre il progresso è la soluzione migliore per tutto. La cucina ha strumenti che si tramandano immutati per generazioni.
“Qualità apparentemente buona, ma la resa lascia a desiderare” scrive un cliente di Amazon, dopo aver acquistato una bistecchiera in ghisa di una notissima azienda, specializzata proprio in questo materiale “rispetto a quelle più economiche, cuoce in un tempo maggiore; l’antiaderenza praticamente manca; nessun miglioramento nei sapori dopo la cottura e la pulizia risulta scocciante come le altre. Per concludere, non vale quanto costa”.
Chi glielo va dire, a questo signore, che ha tutto il diritto di essere ignorante su determinati argomenti, che una pesantissima bistecchiera in ghisa cuoce in tempi più lunghi perché deve esser scaldata molto più di una leggera? Che, se viene scaldata meno, finisce per lessare la carne invece di grigliarla? Che un rivestimento antiaderente proprio non c’è, perché se ci fosse impedirebbe una corretta reazione di Maillard e che la pulizia non proprio facilissima è uno scotto da pagare per bistecchiere come queste? Non glielo va a dire nessuno. Anzi, tutti ma proprio tutti lo illudono e lo costringono a credere che la vita, grazie al progresso, è molto più facile e molto più antiaderente.
Ma non è così. Alla faccia del progresso, ancor oggi esistono in cucina strumenti diversi per risultati diversi. Che la teglia di ferro (e, soprattutto, la padella di ferro) non è una teglia antiaderente. Serve per altre cose e si tratta in altro modo (non si lava con l’acqua, per esempio).
E allora mi viene in mente che, paradossalmente, il principiante in cucina non ha tanto bisogno di imparare ricette, ma di conoscere a fondo gli strumenti che usa o che dovrebbe usare. Una padella di ferro serve per determinate cotture, una antiaderente per altre ancora e una bistecchiera in ghisa da un chilo è diversa da una simile in Teflon o compagnia bella. E se la prima si fa fatica a pulirla, perché di antiaderente non ha nulla, un motivo c’è. Ma se queste cose non te le insegna nessuno, come te le immagini? Non te le immagini.
Una buona scuola di cucina deve insegnare l’uso degli corretti per raggiungere il risultato desiderato. In caso contrario, non offre basi su cui costruire un vero apprendimento.
Assolvo quindi tutte le persone che, davanti allo strumento misterioso, non sanno che pesci pigliare e magari rovinano ogni cosa. Che ne sapevano, loro, vittime di pubblicità che ti danno tutto facilissimo, tutto pulitissimo, tutto meravigliosamente scorrevole e immediato? Alla fine, cominci a crederci davvero. Cominci a pensare che, se non trovi proprio quelle caratteristiche in un oggetto, sei davanti a un difetto.
Tutto questo per dire che, se decidi di frequentare un corso di cucina, bada che non si parta mai dalle ricette. E, soprattutto, che non si parta e non si concluda tutto nella spiegazione di ricette, sfiziose e carine che siano. Sono i corsi che io, personalmente, evito e che, sempre personalmente, odio proporre.
Perché le ricette sono facili, te le trovi anche su internet, è quasi inutile che tu venga qui, da me, per imparare l’ultimo finger food alla moda. Qui voglio insegnarti quali sono e come si usano gli strumenti che secoli di tradizione cucinaria ci hanno messo a disposizione. A partire dalle pentole di ferro, per esempio, e magari passando per le bistecchiere di ghisa e le teglie in ferro blu per la pizza. Prima ancora di spiegarti il miglior impasto per la pizza casalinga, meglio che ti parli del forno, delle teglie, della pietra refrattaria…
Perché se sai a che cosa dovrebbe davvero servire una bistecchiera, magari capisci perché è meglio che non sia antiaderente. Così come è meglio che tu conosca se esiste qualche altra soluzione se, poniamo, sei allergico al nichel. E magari capisci anche perché una casseruola in ghisa costa uno sproposito e se ti conviene, per le tue abitudini alimentari, spendere così tanto oppure lasciar perdere. E poi i termometri, le sonde, magari qualche attrezzo un po’ più sofisticato, a seconda di che cosa stiamo per preparare.
“Lo strumento giusto per ciascun lavoro”, insomma, potrebbe essere il nostro motto quando cuciniamo assieme. Così che smetteremo di usare salami per avvitare viti o martelli per mescolare risotti.
Sacrosanto e da approfondire su tutte le meravigliosamente innumerevoli categorie dello spirito (si, spirito) che compongono la galassia dell’attrezzatura in cucina.
Io, dopo anni di ignoranza, esco giorno dopo giorno dal mio personale buio della ragione sostenendo che, a meno di eccezioni eclatanti, il padellame e’ meglio lavarlo a mano e buttare in lavastoviglie posate posatine, piattini piatterelli. E i bicchieri? E il vetrame? Ahime’ se e’ da poco prima o poi buttera’ fuori il piombo, creando una patina biancastra che nulla al mondo puo’ togliere.
Detto questo, c’e’ un tema, caro blogmaster, che vorrei tanto tu approfondissi in uno dei tuoi prossimi scritti: il feticismo da accessorio in cucina. E, per l’amor di verita’, non venirmi a dire che non sai di che parlo. Nessuno, che sia vero amatore (magari non professionista, ma anche di questo dubito), ne e’ immune. Io certamente no. Mi ci vorrebbe (e’ un sogno erotico che faccio spesso) una cucina da 40mq per ospitare tutto, altro che i miserabili 16 di oggi.
Di feticismo in cucina sono malati tutti, con gradi e sfumature diverse. I maschietti, secondo me, sono più nerd o, come si preferisce dire oggi, più geek: il gadget pieno di luci e lucine (anche immaginarie) ci affascina sempre, così come l’arnese nuovo di zecca, ben cromato, ingegnoso. Pensa che io non amo particolarmente la carne alla griglia, eppure continuo a pensare a questi termometri di cui avevo scritto anche nel primo numero della mia rivista… Se avessi qualche soldo, li avrei già comprati.
Gli chef e i cuochi in genere hanno la mania dei coltelli. E un po’ li capisco. Un coltello ben affilato e la loro tecnica sono le cose che fanno davvero la differenza, alla faccia di qualsiasi arnese fantascientifico.
Le donne sono le più feticiste di tutti e non lo neghino: il loro feticismo è più classico, fatto di cose belle, di qualità. Le leggi, nei vari blog, mentre impazziscono all’idea di potersi comprare (o farsi regalare) una cocotte di Le Creuset o di Staub. Confesso che anch’io faccio un po’ il filo a un Cuoci Pane di Emile Henry…
Quindi sì, chi nega che il feticismo in cucina non esista? Non certo io. Ma ci vorrebbero magazzini per soddisfare tutte le voglie (oltre che a un sacco di quattrini), altro che la mia cucina!
Il titolo di questo intervento potrebbe essere “Götterdämmerung”.
No,non voglio parlare ne’ di Visconti, ne’ di Wagner ne’ tantomeno del famosissimo gruppo di rock di avanguardia (quello per chi ignorasse la storia, che non ha pubblucato “sussurri e grida”).
No voglio parlare di appassionati di cucina che si lasciano tentare da acquisti di oggetti da cucina disponibili a prezzi bassi, medi e alti, scegliendo le Rolls Royce degli utensili, pagandoli 4-5 volte quello che costano i lori “medi” concorrenti.
La mia esperienza (e, per ora,non faro’ nomi nemmeno sotto tortura) e’ stata devastante: malfunzionamenti, pessima assistenza,menzogne spacciatemi disinvoltamente, come fossi nato ieri…la caduta degli dei, appunto.
Che succede? Quello che succede in tutti gli altri settori,credo.
E,allora, vorrei avviare una chiacchierata sulle 4 possibili opzioni per l’erotomane dell’accessorio culinario:
1. Fai da te (Honi soit qui mal y pense). Niente strumenti, il piu’ possibile a mano. Su certe cose raccomandabile, su altre (mixer ad alta velocita’, per esempio, impossibile. Io, per esempio, non ho e non voglio i mega robot da cucina… tagli frulla impasta cuoci servi. E poi , gia’ che ci siamo, mangia e magari trombati il partner al posto mio….)
2. Compra la rolls e taci dei guai. Un po’ parvenu, ma comprensibile. Portafogli permettendo, ovviamente. E poi a me viene il nervoso, che vuoi, noi idealisti…
3. Low cost a tutti i cost(i). Spendi poco, usi e getti. Poco sexy, secondo me a volte puo’ funzionare, a volte….
4. Startup. L’accessorio nuovo o che ridefinisce una vecchia funzionalita’, magari male interpretata e costosa in strumenti noti. Eccitante ma con prudenza….
Che ne pensi?
Mauro
Mah, qui è davvero difficile. Si può dire che spesso si compra e s’incrociano le dita?
Perché così è ciò che faccio io. Magari sperando che dietro l’oggetto ci sia un’assistenza degna di questo nome, perché poi è questo che dovrebbe fare la differenza. Dico dovrebbe, perché lo capiscono in pochi. Sembra che nessuno riesca a comprendere che la customer care è, in questo villaggio globale in cui tutti vendono tutto a tutti e a ogni prezzo, l’unica vera discriminante, la killer app che fa la differenza. E poi ci si meraviglia che Amazon spopoli.
Non parliamo poi di quelle zone d’ombra che la legge italiana lascia volutamente grigie per fare gli interessi degli imprenditori tutti. Parliamo del trasporto: se ti arriva un collo con l’imballo integro ma con l’oggetto rotto o rovinato al suo interno, chi la prende in quel posto sei tu perché: 1. dovevi dichiarare che c’era qualcosa che non andava nell’imballo e quindi ritirare ma con riserva (devi firmare un modulo apposito), 2. ma lo puoi fare solo se l’imballo è rovinato. Quindi, se non è rovinato, non lo puoi fare. E attenzione perché in quel caso neppure vale la garanzia. Comunque, chi te l’ha venduto non ne risponde (perché senza la tua riserva non può avvalersi sul corriere), chi te lo consegna non ne risponde (per legge, se ritiri senza riserva accetti che l’oggetto sia sano), non puoi scartarlo prima di ritirarlo (il corriere non accetta che tu tocchi il pacco finché non firmi per ricevuta), la garanzia non vale (perché il danno non è insito nell’oggetto).
Ah, ah, davvero divertente! E si vorrebbe che la gente acquistasse online, mentre la legge la mette nelle condizioni di doversi comprare un furgoncino e provvedere personalmente al trasporto.
Va beh, forse esula dal tuo discorso… Cosa faccio io? Compro l’apparecchio che credo migliore, poi incrocio le dita…
torno sull’argomento accessori per raccomandarne uno che non dovrebbe mai, secondo me, mancare in cucina. Mi riferisco ai contenitori in cui impastare, mescolare, comporre. Le bocce in metallo o in vetro, per farla breve.
Che originalita’ scarsa, dirai. Ma io voglio raccomandare di prenderne almeno tre o quattro e tutte grandi, grandissime. Io ne ho tre, acquistate in un punto vedita di una notissima catena di mobili fai da te. Sono in vertro e hanno un diametro che, a occhio, supera i 30 cm.
Perche’ questa raccomandazione? Per tanti buoni motivi: innazitutto nel grande mescoli molto ma molto meglio. Ti suggerisco un esperimento stupidissimo: prova a condire l’insalata nel boccione: vera’ ben condita con meno condimento! Non parliamo poi di impasti…. E poi, schizzi meno cibo intorno, quando prepari. Esempio: io detesto grattugiare il parmigiano perche’ non mi riesce mai di contenere briciole e bricioline. Da quando lo faccio nel boccione ho riacquistato la serenita’…
Scherzi a parte, a mio avviso grandi contenitori aiutano davvero tanto. E con pochi euro te ne procuri quanti ne vuoi
Bello questo articolo e interessante anche lo scambio di commenti sugli accessori. :-)
Hai perfettamente ragione, di corsi di cucina che ti danno solo le ricettine alla moda non se ne può più: non impari veramente niente di nuovo e per avere una ricetta tanto vale fare una ricerca su internet.
Capire invece le tecniche e gli strumenti adeguati per metterle in atto è la vera essenza della cucina.
Non mi basterà la vita per imparare (anche perché io sono una semplice appassionata, una desperate housewife insomma) entrambe le cose… e nel frattempo cado vittima del feticismo da attrezzino di cucina. ^_^
I coltelli sono la mia passione, ma non solo….
Grazie per questa bella riflessione.
Ciao, Mapi
e grazie per essere passata di qua a commentare. Inutile dire che sono d’accordissimo con te: ormai nelle scuole di cucina la ricettina alla moda spopola. Il che, in sé, non sarebbe neppure un male, se fosse anche il pretesto per insegnare qualcosa di più: una tecnica, l’uso esatto di uno strumento e così via. Invece, senza voler fare d’ogni erba un fascio, la maggior parte delle volte ti spiegano come si svolge una ricetta e chi si è visto si è visto. Un male? Io credo di sì, ma in molti pensano il contrario. Mi spiegava uno che vende corsi di ogni tipo per professione, che le scuole di cucina più gettonate fanno proprio quello.
Che si fa, quindi, cara Mapi? Cambiamo testa noi o alziamo le spalle e proseguiamo per la nostra strada?
Forse non c’entra, ma ho visto il tuo bel sito, il cui link è questo (sai mai): http://www.applepiedimarypie.com. Mi è piaciuto moltissimo e non sembra certo farina del sacco di una modesta casalinga disperata. Anzi! La cosa che adoro di più? La tua costanza nel postare ricette e suggerimenti interessanti e la volontà di non tirarti mai indietro anche davanti ad argomenti ardui da comprendere, realizzare e spiegare. Come vedi, me lo sono guardato bene!
Ecco, adesso mi fai arrossire. Grazie! :-)
Però davvero, la mia passione per gli strumenti nasce dalla semplice domanda “Perché dovrei comprarlo? A cosa serve?”.
Prendiamo la teglia di ferro blu per la pizza: perché proprio di ferro, e perché blu? Forse perché assorbe il calore invece di rifletterlo?
Cucino la pizza molto raramente e quelle poche volte uso la tavella refrattaria (una ventina di anni fa mi ero fatta in casa la mia, quando si è sbriciolata ne ho comperata una :-D ).
Mi è capitato invece di fare la pizza a casa dei miei, e lì uso la leccarda del forno foderata di carta forno (altrimenti si appiccica tutto sotto). Dove sbaglio? La teglia blu ovvierebbe all’inconveniente? Ha particolari modalità di uso?
Perché come dici tu nel post, se non si conosce la funzione di un utensile e come “lavorano” i diversi materiali di cui è fatto, lo si usa male e a sproposito – e si rischia di lamentarsi per suoi difetti, mentre il difetto è la nostra ignoranza. :-)
Grazie!
Ciao, Mapi
In questi ultimi giorni sono stato un po’ preso e non mi sono accorto che avevi risposto. E meno male che credevo di aver controllato! Comunque, se nel frattempo non sei morta di noia, eccomi qui.
Allora: se hai la pietra refrattaria, non hai bisogno di teglia di ferro blu. Ti dà il massimo risultato con il minimo sforzo.
Però, se ti metti a cucinare in giro… magari la teglia di serve, come dici tu!
I segreti della teglia di ferro blu sono pochi, ma importanti. Si chiama di ferro blu perché il ferro di buona qualità, quando non è trattato, cromato, verniciato, ecc. ecc. è blu. In pratica, è ferro grezzo che, quando esce di fabbrica, è scuro con riflessi cobalto. Come nella mia foto. La si trova con gran facilità; vai su Amazon e ne trovi di tutti i prezzi e misure, di marca oppure no. Van tutte bene, tanto è ferro, costa poco e niente più.
Ma perché proprio questa teglia di ferro grezzo?, mi chiedi. La leccarda del forno non va bene? No, non va bene no. Niente di strano: il ferro si riscalda, si riscalda moltissimo. Se lo metti in forno a 250 °C, si prende tutti i gradi e li butta fuori. E’ un po’ come la pietra refrattaria, né più né meno. La leccarda, magari d’alluminio, tutti quei gradi non li domina. Peggio ancora le teglie antiaderenti, che a temperature così alte non arrivano mai (non dovrebbero arrivare mai) e se ci arrivano emettono fumi non proprio piacevoli…. Il ferro, invece, a 250 °C resta ferro e basta.
Che cosa succede, dunque? Che la parte “sotto” della pizza, invece di restare un po’ molliccia come capita quando si mette la carta da forno (perché trattiene la condensa della pasta) o un altro tipo di teglia (stesso problema: se non riesce a scaldarsi come il forno, finisce per fare condensa e inumidire il fondo della pizza o del pane), diventa croccante come se la cuocessi in forno a legna o su una pietra refrattaria.
L’unico neo è che la teglia di ferro, per usarla bene, la devi preparare. Devi sottoporla a quel processo che si chiama “bruciatura”. Niente di complicato, occorre soltanto un pochino di pazienza. Il risultato? Non ti si attaccherà più nulla, che tu la spennelli d’olio oppure no. Niente carta da forno, tra l’altro. E fondo sempre croccante.
Ma non ti scrivo come bruciare una teglia di ferro blu subito subito. Lo farò presto, giuro, magari su un post. Questa stessa settimana, giurin giurella, croce sul cuore. Ciao e grazie!
GRAZIE-GRAZIE-GRAZIE, per la pazienza e per la risposta dettagliata.
Ho immaginato che fossi un tantino preso, come del resto lo sono stata io. :-)
Attendo impaziente un post sull’uso corretto e la bruciatura della teglia in ferro.
Come scrivevo, mi ero già resa conto sul campo della pessima resa della leccarda del forno, ma non avevo pensato alla faccenda della condensa giustamente trattenuta dalla carta forno.
Sono felicissima che sul web ci sia qualcuno di competente e disponibile a spiegare i dettagli tecnici a noi profani, perché non è solo nelle scuole di cucina che non se ne può più di ricettine: anche nel web hanno stufato (e lo dico io… che continuo a pubblicarle. ;-) ).
Grazie ancora per la pazienza e perché metti al servizio di noi profani la tua competenza e professionalità, senza farcela pesare.