Perché la carne del tuo macellaio di fiducia è migliore di quella del tuo supermercato?
Pur non essendo né vegetariano, né vegano, io non amo molto la carne e in casa mia ne gira piuttosto raramente, lo ammetto. Però, se uno ha clienti o, ancor peggio, una scuola di cucina in cui si picca di insegnare agli altri come cuocere la carne, ogni tanto la deve fare per non perdere la mano.
Così ieri, trovandomi al supermercato per un’emergenza (avevo finito l’olio e ne avevo bisogno immediatamente almeno di una bottiglia di fortuna), passo davanti al banco delle carni e vedo un pezzo di controfiletto che non mi pare affatto male. Beh, penso, perché non farci una cena semplice semplice? E così, armato di padellone di ferro, mi accingo all’opera e a cuocere la bisteccotta al sangue e farci una tagliata con tanto d’insalatina da ristorantello campagnolo.
Piera, che è la mia critica preferita, in servizio continuo 24 su 24 7 giorni su 7, al primo boccone non sembra molto convinta, ma parla soltanto dopo la fatidica domanda sul che cosa c’è che non va. La parte al sangue non è molto tenera, mi dice. Io annuisco in silenzio. Forse non l’hai cotta bene?, prosegue un po’ spaventata da tanto ardire.
Ecco, no, fermi tutti! La cottura non c’entra proprio nulla, cara mogliettina. Il che non vuol dire che tu non abbia ragione da vendere. Perché è proprio così: il cuore della carne, quello al sangue, quello che dovresti sentire più morbido e succulento, guarda caso è più fibroso della parte ben cotta. Ma, ripetiamolo, la cottura non c’entra per nulla (ecchec#@#o!).
C’entra invece una magica parola ormai quasi scomparsa: la frollatura. Non so se tu sai di che si tratta e se sto per farti uno spiegone del tutto inutile, però… Però funziona così: quando un animale muore, le sue fibre muscolari sono dure. E ci credo, considerando che hanno lavorato fino a un minuto prima. E restano dure per parecchio tempo: tanto ce ne vuole, infatti, affinché gli enzimi comincino a scindere le proteine che compongono la fibra muscolare e a frammentarne le fibre. Quello che succede, insomma, è l’avvio della decomposizione (inutile nascondersi dietro a un dito). Se l’animale fosse all’aria aperta, il processo sarebbe molto veloce e sarebbe aiutato da un sacco di fattori che, in natura, esistono proprio per espletare questo ingrato compito nel modo più veloce ed efficiente possibile (è per questo che Dio ha creato le mosche, nel caso te lo fossi chiesto, e non per darti fastidio).
FROLLARE NON FA GUADAGNARE
Per nostra fortuna, la frollatura non si fa all’aria aperta, ma in apposite celle frigorifere, a temperatura controllata (di solito da 1 a 4 °C), cosa che permette di controllarne l’evoluzione senza che il risultato ne risenta. In questi ambienti controllati, gli enzimi ammorbidiscono le fibre muscolari, ma la carne non si decompone (perché la carica batterica è tenuta sotto controllo dalla bassa temperatura). Anzi, man mano che la frollatura a temperatura controllata procede (ma qui si parla di frollature spinte per decine di giorni), la carne acquista un aspetto via via sempre più compatto e marmoreo, senza per questo cominciare a decomporsi.
Risultato? La carne è tenerissima, sempre. Anche quella del manzo più coriaceo. Ma se è così facile fare questa cosa (e non venirmi a dire che un macellaio non ha una cella a temperatura controllata!), mi dici perché consideri la frollatura una pratica ormai estinta?
Per motivi economici: la carne, frollando, perde peso (dal 5 al 10%, ma anche molto di più nelle frollature più estreme). E se perde peso la devi vendere più cara degli altri (e non puoi fare sconti del 30%). Inoltre, ti sta in magazzino per un sacco di tempo, almeno 7-10 giorni, che non è poco. Ultimo ma non ultimo, la carne frollata per una decina di giorni non è bellissima da vedere e il macellaio è costretto ad asportarne le parti esterne che, restate a contatto con l’aria, sono diventate rosso scuro, quasi nerastro, cosa che non piace molto ai consumatori (soprattutto dalle mie parti, al Nord, dove la gente par vivere esclusivamente di vitello). Quindi, la grande distribuzione ha deciso che la carne non debba più essere frollata. Punto e basta. E quindi ti becchi il controfiletto che, se lo cuoci al sangue, ha il cuore duro anziché morbido, come osservava Piera.
O MACELLAI O NIENTE
Ma, tanto, chi sa cuocersi un filetto in casa? Tre persone su dieci? Anche meno? Nella fiera della carne casalinga stracottissima, la carne non frollata ci sta, tanto se ne accorgono in pochi e, se proprio qualcuno se ne accorge, pensa di pagare lo scotto per lo sconto del 30% che quel mercoledì il suo supermercato di fiducia ha applicato. Del tipo: mi sono preso carne di mediocre qualità. E invece no. Anche se scontata, la carne è buona, ma è troppo fresca. Se vuoi approfondire questo aspetto, QUI c’è un interessante articolo de Il Fatto Alimentare che ne parla nel dettaglio.
Si può fare qualcosa? Non molto. Si può sperare che un macellaio privato faccia frollare per il tempo giusto la carne nella sua cella. Di solito, se ne hai uno vicino sempre assediato dalle persone, è così. Se il suo controfiletto ti sembra più morbido e fa meno acqua in padella, questa è la prova del nove. Non sperare che ti proponga frollature estreme, però, perché quelle non convengono neppure a lui. Per trovare carne che sembra finto marmo, devi andare in negozi specializzati: personalmente, l’unico che ho visto dalle mie parti è Eataly Milano Smeraldo e non mi sembra che la venda online. In internet, comunque, qualcosa si trova: a una ricerca veloce, mi balza agli occhi questo sito dell’altoatesina Macelleria Mair, dove la carne iperfrollata sembra assai bella, ma aspettati prezzi di conseguenza: una T-Bone costa 39,13 euro al chilo, a fronte dei 22-23 euro di una fiorentina di buona qualità.
Metodi di Dry Aged casalinga: facile, ma con risultati poco estetici.
DRY AGED NEL TUO FRIGO
Ma, dirai, non è che sarebbe possibile fare da sé, così evitiamo tutto questo sbattimento? No. Perché no? Per una questione di temperature e di umidità. Esistono fondamentalmente due tipi di frollatura: una a secco, chiamata Dry Aged, l’altra a umido, Wet Aged. La prima è quella di cui si lamenta la scomparsa e per realizzarla occorrono celle frigorifere di cui puoi regolare temperature e umidità. Qui la carne si asciuga man mano trascorrono i giorni, i sapori si concentrano, gli enzimi sgretolano fibre muscolari e tutto diventa più gustoso e morbido. Si può fare a casa? Volendo si può tentare. Ecco come.
Si prende un pezzo di carne con l’osso: l’osso stesso e il grasso che circonda la carne la proteggono dalla putredine. L’ideale sarebbe una fiorentina o comunque una costata. Lo si avvolge in una garza fine (o in fogli di carta da cucina, che però andranno cambiati molto spesso) e lo si lascia nel frigo (parte bassa) senza altre protezioni, meglio ancora se su una griglia del tipo di quelle con le gambettine di metallo, che si trovano spesso di serie nei forni a microonde. Sotto puoi metterci un piatto, nel caso colasse qualche umore.
Salute a rischio? Non più di tanto: le alte temperatura a cui si cuoce la carne dovrebbero sterminare tutti i microrganismi.
Quanto la teniamo così? Facciamo una decina di giorni. Alla fine avremo la nostra carne frollata. Facile, no? Uhmmm, ni… Ecco i problemi: il primo è che l’esterno della nostra costata fa un po’ schifo a vedersi, ammettiamolo. La polpa si è ossidata ed è diventata scura (in alcuni punti ha anche quei riflessi metallici che fanno un po’ senso), il grasso superficiale s’è imbrunito e irrancidito… Bisognerebbe toglierlo, come fanno i macellai che frollano lungamente la carne. Peccato che loro frollino mezze carcasse alla volta e lo scarto, sulla quantità, diventa minimo. Ma se devi pareggiare da una parte e dall’altra una costata, con quel che costa, ti sanguina il cuore. Inoltre, anche se in tutti questi giorni non hai mai aperto il frigo (variando quindi ogni volta bruscamente temperatura e umidità), la tua carne ha preso gli odori degli altri alimenti e, a sua volta, li ha contaminati con il suo. Quindi, o hai i soldi per prenderti una cella frigorifera tua propria, o lasci perdere. Anche perché, con queste umidità e temperature ballerine, la tua carne ha finito per macerarsi (e quindi decomporsi), invece che frollare.
Se hai una macchina per il sottovuoto, la Wet Aged è una passeggiata.
WET AGED SOTTOVUOTO
L’altra frollatura richiede minor manutenzione ed è adatta anche per carni senz’osso (tipo il filetto, il roast-beef, l’entrecôte e così via). Per fare la frollatura Wet Aged hai bisogno di una macchina per il sottovuoto (sono perfette anche quelle casalinghe) e l’apposito sacchetto: togli l’aria, sigilli il sacchetto, metti nella parte bassa del frigo. Fine.
Wet aged: in molti la considerano una semplice macerazione, non una frollatura.
La maggior parte della carne in commercio viene stagionata (poco, troppo poco) in questo modo, non tanto con l’intento di frollarla, quanto perché metterla in buste sottovuoto è il modo migliore per conservarla. Ma qual è il problema del Wet Aged? Il problema è che, mancando quella circolazione dell’aria che, giorno dopo giorno, asciuga la nostra bistecca, in realtà si limita a ristagnare nel sangue in ambiente anaerobico. Se si ammorbidisce, dunque, è soltanto perché si degrada in quanto, appunto, macera nell’umido. Diventa più morbida perché si sta cominciando a decomporre e soltanto la bassa temperatura e il sottovuoto le evitano di farlo davvero, poiché limitano a quasi zero la carica batterica.
Puoi frollare in umido a casa? Sì, come ho detto ci vuole davvero poco. So di persone che la tengono così anche un mese: ogni 7-10 giorni aprono la busta, asciugano ben ben la carne con la carta da cucina e rifanno il sottovuoto (si può riutilizzare anche il medesimo sacchetto). Io, l’ammetto, non ho avuto il coraggio di superare i 15 giorni.
VIVE LA DIFFÉRENCE!
Le differenze fra le due frollature sono abbastanza evidenti. Nella frollatura a secco, l’aria ha asciugato progressivamente la carne, facendole perdere peso e concentrandone gli umori. Si ha una carne morbida ma soda, densa, ricca di sapori, con grassi che cuocendo tendono a sviluppare sentori di nocciola. La carne frollata in umido è tenera, succosa, ma ancora troppo piena di liquidi per offrire le sensazioni concentrate della prima. Però il miglioramento c’è, in confronto alla carne pochissimo frollata che si trova al super o all’iper. Magari davvero appena percettibile, ma c’è.
Un sistema, per chi ha confidenza con il proprio macellaio (io non ho un macellaio, mangiando poca carne), potrebbe esser quello di scegliere e comprare la carne, pagargliela e chiedergli di frollartela il tempo che desideri. A quel punto, lui i soldi li ha già intascati e ciò che capita alla tua costata gl’importa poco.
Poi, volendo, esiste anche un altro modo per intenerire la carne, ma è soltanto una maniera per svicolare il problema senza affrontarlo: cuocere sottovuoto a bassa temperatura. Ma questo è davvero tutto un altro discorso.
ottimo, ottimo post. Io sono un fan sfegatato della carne se e solo se di ottima qualita’, il che implica inevitabilmente di averla frollata.
Ammetto di non avere mai avuto il coraggio di fare frollature in casa (un pochino di sottovuoto e poi cottura a bassa temperatira si…). Che faccio? Io lavoro, come da te suggerito, col macellaio. I macellai vanno selezionati con lo sguardo di ghiaccio alla Clint Eastwood: quando inizio la “relazione” con uno nuovo, lo prendo da parte, lo guardo diritto negli occhi e gli sibilo col mio accento piu duro: ” a me la carne piace FROLLATA, capito”? Di solito la scena che ne segue e’ davvero buffa.. si guarda intorno, abbassa la voce e con uno sguardo carico di speranza dice… “intende frollata?”. Al che tutto si rilassa. Uno addirittura una volta mi ha portato a una visita guidata nel retro macelleria…
Insomma, se al macellaio parlate chiaro puo’ diventare il vostro migliore alleato. Da notare infine che i macellai sono come gli alimenti: hanno una data di scadenza… ma questa e’ un’altra storia
Grazie, grazie. La frollatura in casa non funziona, come dico nel post. Si può fare un po’ di sottovuoto, si può cucinare a bassa temperatura, ma è svicolare la questione. La frollatura è un’altra cosa. Ma, ahimè, frequento davvero poco i macellai e dalle mie parti i pochi rimasti sono presi d’assalto. Scambiare due parole durante il servizio è praticamente impossibile.
Invece sarebbe carino che raccontassi della data di scadenza dei suddetti… Magari è un’altra storia, ma sono sicuro che sarà interessante. Attendo con fiducia.
Carissimo,
mi provochi su un tema che mi sta particolarmente a cuore e io reagisco, anche se con un post un po’ disordinato (scrivo di sera dopo una giornata iniziata alle sei di mattina)
Allora, i macellai hanno una data di scadenza. Che significa? Significa che, dopo un certo tempo e nonostante le ripetute dichiarazioni d’amore, ti tirano una fregatura che ti rovina una cena prestigiosa o ti fa un danno simile. E quindi, come le medicine scadute, vanno buttati. La cattiva notizia è, appunto, che te ne accorgi a guaio fatto, la, o meglio, le buone notizie sono che (a) di macellai ce ne sono, non tanti ma ce ne sono e che (b ) a volte quelli da buttare sono riciclabili.
Ma andiamo con ordine.
Il rapporto con il macellaio segue due cammini tipici:
UNO – lo chiamerò cuore spezzato. Vi siete incontrati, vi siete amati, ti ha fornito tagli insuperabili ma, destino truzzo, tu o lui ve ne andate lontani e non vi frequentate più. Lui non ha colpe, tu nemmeno, ma è il destino.
Faccio un esempio che nascondo ma che – ne sono sicuro – tu potrai decrittare facilmente: il mitico V*g*n*’ a V*r*n* Br**z*. Grande. Così grande da avere una luganega (quella vera, intendo) da svenire (per non parlare degli altri tagli con cui facevo una rosticciata davvero divertente), ma soprattutto le braciole di Pata Negra (ho detto braciole e intendo quelle di carne da cuocere): divine. Ma, ahimè, come ben sai io da quelle parti non ci passo proprio più.
DUE – ti lascio. E qui fammi raccontare come si svolge il ciclo del Macellaio
A) L’incontro. Sei reduce dall’ultimo abbandono, dove diamine andrai a prendere la guancia di manzo, dove ti farai fare l’arrosto di maiale con luganega e prugne su specifica? Ma, consigliato o per caso decidi di entrare lì, proprio lì in quel negozio. Entri e sei indubbiamente abbagliato dallo spettacolo. Ma, tracotante e timoroso all’istesso, affronti la commessa: “mi faccia parlare con l’esperto”.
“Scusi?”
“Vorrei un cappello del prete da 1 kg, ben frollato”. La ragazza impallidisce, si volta e chiama “Artuuurooo!” (nome inventato)
Arriva l’omone, mi guarda diffidente, lo guardo. Ti risparmio la sceneggiatura alla Sergio Leone, l’ho già accennata prima. Diciamo che alla fine chi conta dà istruzioni al personale e tu sei a posto: la bistecca ti viene consegnata ben brunita, il roast-beef pure. Il coniglio è disossato comme il faut e così via.
Tutto bene. Lui ti ama, tu gli dai grandi soddisfazioni. E tu ricambi.
Poi, un bel giorno (minimo sei mesi dopo, massimo, più o meno, due anni dopo) arrivi, ordini qualcosa di speciale. In un mio caso, tre belle guance di manzo, devi fare il tonno di guancia, ospiti di riguardo.
Arrivi per ritirare. Lui, l’uomo forte, non c’è. Ti pesano tre cose enormi, con il tessuto connettivo apparentemente fuori posto.
Porti a casa, pieno di dubbi.
Fai bollire con gli odori giusti. Ma già la schiumatura non ti piace, troppo pesante. Scoli, tagli. Ahi. Duro. Immangiabile.
Butti tutto
Perché accade? Io credo non sia cattiveria, è trascuratezza. E’, in sintesi, quello che noi, per esempio, con il vino (mutatis mutandis) ci ostiniamo a non capire dai francesi: la qualità va preservata nel tempo, non è un gioco d’azzardo.
Concludo questo troppo lungo post con un messaggio di speranza: se andate da un macellaio che non sia un cane e parlate chiaro, molto chiaro, lui/lei in genere si innamoreranno di voi. Che poi nessun amore sia per sempre, beh, ragazzi, c’est la vie.
Non ho parole! Grazie davvero di questo post che, semmai un giorno trovassi il coraggio, metterò in pratica (si sa che sono un animo estremamente timido). Oppure posso passare te al telefono del macellaio, per farmelo domare a dovere! No, davvero, sono troppo timido per prendere di petto gente con mannaie in mano!
Giorgio, je t’adore: mi si è accesa una lampadina in testa già dalle prime righe del post. Mi capita infatti, nella mensa vicino all’ufficio, di prendere la tagliata e farmela grigliare. Puntualmente, è durissima e ci metto un sacco di tempo a masticarla e a mandarla giù. Ho sempre pensato che acquistassero della carne scadente, mai mi era venuto in mente che il problema fosse la frollatura.
Io ho la fortuna di avere un macellaio di fiducia, che alleva e macella i propri animali. E’ effettivamente più caro del supermercato,ma vende carne tenerissima. Adesso grazie al tuo articolo so perché è più caro e perché la sua carne è così buona.
P.S.: ” è per questo che Dio ha creato le mosche, nel caso te lo fossi chiesto, e non per darti fastidio” è sublime. :-D
Sono io che adoro te! :-) E comunque, magari ci sta anche che in una mensa la carne non sia proprio di prima qualità, a cui si aggiungono i problemi della cottura che, quando è a ciclo continuo per tanta gente, difficilmente sarà ottimale.
Nella grande distribuzione, invece, soprattutto perché le loro filiere sono tra le più controllate, che ci sia carne cattiva è difficile. Anzi, spesso è davvero molto buona. Però è troppo fresca…
a proposito ancora della cottura sotto vuoto della carne, credo che questo approccio risolva il problema della durezza del taglio non frollato, soprattutto allungando i tempi (mantenendo ovviamente la stessa temperatura). Non credo risolva il problema del gusto e dellas digeribilita’, sensibilmente migliori nella carne frollata.
Un ultimo punto: che io sappia la frollatura si applica esclusivamente a manzo e selvaggina. Mai sentito di pollame frollato…
La cottura sottovuoto e a bassa temperatura della carne la rende sicuramente più morbida, come accennavo anch’io in chiusura del post. Per il gusto, tuttavia, può fare ben poco, per quanto una carne ben cotta ha sempre un gusto migliore di una cotta alla sperindio.
Sul perché “frollatura sì, frollatura no” si potrebbe fare un altro post. Ma, brevemente (spero), la questione è questa. Si sentono alcuni chef che dicono che tutto va frollato, magari pochissimo, magari un paio d’ore, ma va frollato. Pesce compreso. E’ una mezza verità (anzi, diciamo che c’è un terzo di verità). La verità l’ho scoperta scrivendo un articolo per una rivista medica.
La parola chiave, in questo caso. è fibra muscolare. Come ho scritto prima, la frollatura non è altro che l’azione degli enzimi che rilassano la fibra muscolare di un animale. Ma quale fibra muscolare ha davvero bisogno di essere rilassata? Quella di muscoli che lavorano nel tempo e con continuità. Queste fibre sono molto strette, quasi sempre contratte, ricche di mioglobina (che dà appunto il colore rosso alla carne): la mioglobina è la proteina che condiziona lo scambio d’ossigeno con le molecole e sono tipiche di animali maturi con muscoli che lavorano in maniera continuativa, con lungo lavoro aerobico (un po’ come un podista, per capirci). Abbastanza inutile frollare per lungo tempo animali giovani come il vitello, gli agnellini, i capretti da latte, i maialini, che non per nulla la gastronomia considera carni bianche anche se, fisiologicamente, non lo sono (le loro fibre, infatti, sono allungate per sopportare il lavoro e la fatica continua, una volta che saranno adulti, ma il loro contenuto di mioglobina è ancora basso, per quanto sia più elevato di quello di un pollo).
Inoltre, esistono altri tipi di fibre muscolari: sono quelle più larghe, tipiche dei muscoli che lavorano a scatti veloci in tempi brevi. Sono le fibre bianche e si trovano in tutti gli animali da cortile, dalla gallina al coniglio all’uccello allevato in voliera. Il contenuto di mioglobina è molto basso perché il muscolo ha il suo massimo sforzo in ambiente anaerobico (come un sollevatore di pesi, per intenderci) ma, soprattutto, è la struttura stessa della fibra a non aver bisogno di frollatura: queste fibre impiegano pochissimo tempo a rilassarsi, dopo la morte dell’animale.
La selvaggina (di pelo e di piuma) s’inserisce nel medesimo discorso: anche qui abbiamo fibre muscolari strettissime, ricchissime di mioglobina (tanto da farle sembrare nere), create per sopportare sforzi e fatiche non indifferenti. A questo punto, una lunga, a volte lunghissima frollatura, è indispensabile per ottenerne il rilassamento. Se si leggono libri di cucina dell’Ottocento, si rinvengono frollature mitiche che, ammettiamolo, a noi moderni disgustano parecchio… Ma, tanto, chi la trova più la selvaggina?
Seguendo questo ragionamento, si butta anche un occhio sulla questione pesce: si deve frollare? Diciamo che in questo caso si dovrebbe parlare più di riposo che di frollatura, vista la deperibilità dell’alimento. E’ vero, però, che pesci grandi nuotatori (come il tonno) debbano riposare un po’ di più di quelli piccoli (tipo triglia). Non per nulla la carne del tonno è rossa (mioglobina nella fibra muscolare, non si scampa davanti a questa prova del nove). Da qui a dire che occorre frollare il tonno, però, ce ne vuole. Il riposo che si fa sui banchi del pesce (spesso eccessivo) basta e avanza.
Spero di esser stato chiaro.